4 novembre 2005 | Giornale di Brescia
di Fulvia Conter

Jordi Savall a Brescia

Jordi Savall, violista da gambaIntrodotto da un saluto della prof. Fabiano, Jordi Savall sorride al pubblico del «Da Cemmo», giovani studenti sopratutto, e alcuni insegnanti del Conservatorio: dopo aver ascoltato una ragazza alla viola da gamba, si sostituisce a lei e inizia il suo discorso.

Con l’arco in mano parla del suo strumento e della sua storia, della letteratura musicale, del rapporto personale che ha con la musica e l’interpretazione che ne deriva; fa pochi accenni a se stesso, nessuno alla sua grande carriera o alla propria personalità musicale, una delle più importanti nel genere a livello mondiale. Il suo italiano è fluente come il suo eloquio.

Quali sono le difficoltà della viola da gamba? Il fatto di avere alle spalle una tradizione che si è interrotta con la morte degli ultimi violisti; solo alla fine dell’800 qualche dilettante ha ripreso a suonarla, ma sulla base della tecnica violoncellistica. Anche se vi sono affinità fra i due strumenti il “carattere” del violoncello è molto diverso, le sue corde sono tese, l’accordatura è differente; ma i “pionieri” della viola da gamba la suonavano nello “spirito” del violoncello, con tutt’altri segni dinamici.

La viola da gamba, strumento perfetto, è in grado di cantare, parlare, piangere, imita la voce umana in tutti i suoi registri e tessiture, perfino l’arco ha le dimensioni di una persona che canta. A queste considerazioni Savall è stato indotto da una frequentazione con la viola da gamba fatta di lunghi e profondi studi, dalla difficile scelta controcorrente (era violoncellista) di esprimersi con uno strumento da lui eletto come espressione della sua anima.

Mentre nel ‘500-‘600 il violoncello doveva restare nel registro basso (c’era pure il “basso di violino”), di viole da gamba esistevano due usatissime famiglie principali e di costruzione leggera, in quanto frutto della fusione fra la viella medioevale e il liuto.

Da questo incrocio deriva il modo di suonare la viola: era d’uso pizzicarne le corde (e qui Savall ha emesso con la sola mano sinistra suoni morbidissimi pizzicati e speravamo suonasse, invece no); Marin Marais, francese del ‘600, suonava viola e tiorba (questa si tiene in braccio), Tintoretto la rappresenta posta “storta” rispetto al corpo.

Fondamentale per capire questo strumento è l’uso dell’arco, che «è sempre nell’aria» (cioè leggero). Qui il discorso ha investito il rapporto di Savall con la musica: un tempo si avvicinava ad un pezzo conoscendone forma e struttura; ora lui suona subito, lascia pazientemente che, poco a poco, «la musica parli», gli suggerisca diteggiature e arcate, fraseggio e respiro, così l’interpretazione è naturale, diviene un «dialogo con una partitura».

Strawinsky raccomandava: «Non interpretate la mia musica, suonatela»; una frase che per Savall significa che è dalla musica che viene l’interpretazione, non dall’interprete.

Savall non s’infervora, semmai s’appassiona e continua a parlare con naturalezza, nel riferire le sue riflessioni sul suo rapporto amoroso con uno strumento del quale non ha avuto un maestro, uno strumento che è rinato senza avere contatti con l’esecuzione anteriore.

Nel rispondere alle domande, Jordi Savall pronuncia alcune frasi importanti: «Il recuperare la memoria musicale non è questione di archeologia, scienza, ma di interpretazione viva. La Musica esiste solo quando si suona».

E ancora: «La musica contemporanea tutta è quella che si suona e canta oggi».

1 novembre 2005 | Giornale di Brescia
di Marco Bizzarrini

Reinhard GoebelMusica Antiqua Köln, il famoso gruppo di musica antica fondato e diretto dal violinista tedesco Reinhard Goebel, è tornato domenica sera a Brescia dopo il successo dello scorso anno, ancora una volta su invito delle «Nuove settimane di musica barocca».

Nella Sala Morstabilini del Centro Paolo VI è accorso un folto pubblico di appassionati, desiderosi di apprezzare dal vivo il suono tutto speciale del Musica Antiqua, che si è presentato nell’organico classico della “sonata a tre”: due violini, violoncello e clavicembalo (che gli strumenti, in realtà, siano quattro anziché tre, non deve meravigliare il profano; la musica del Sei-Settecento offre parecchie di queste apparenti contraddizioni numeriche, bisogna solo farci l’abitudine).

Se lo scorso anno l’ensemble celebrò in grande stile il centenario di Biber, questa volta l’attenzione si è spostata sulla musica italiana tra Sei e Settecento, al cui contesto si riconduce, almeno per un certo periodo, anche la personalità di Haendel. Non a caso, il titolo della serata recitava «Haendel a Roma, 1706-1710».

Ma chi pensava a un programma eccessivamente monografico, o per lo meno monotematico, si è presto dovuto ricredere, perché gli autori collocati accanto al maestro tedesco – Arcangelo Corelli, Antonio Caldara, Giuseppe Valentini, Antonio Vivaldi – hanno dato un’immagine quanto mai varia e cangiante di quello spettacolare periodo storico, non ancora sufficientemente esplorato e conosciuto.

Si fa presto a dire «Corelli e i suoi epigoni», e si fa presto a dire «Haendel a Roma», ma quando verifichiamo sul campo – cioè con l’ascolto diretto – la ricchezza musicale di quegli anni, soprattutto in Italia, le sorprese più gradite non mancano mai. E così, il concerto del Musica Antiqua Köln ci ha svelato che il veneziano Caldara, nella sua Ciaccona op. II n. 12, pur seguendo il modello corelliano, mostra invero un carattere tutto suo; che il fiorentino Valentini, pur inserendosi nella ricca tradizione delle «Pastorali», delle «Pive» e delle musiche natalizie, raggiunge comunque una personale espressione; e infine che il giovanissimo Haendel della Sonata a tre in sol minore, partirà forse da modelli italiani, ma per elaborare una scrittura ricca e imprevedibile (ovviamente che Vivaldi fosse un grande, non erat demonstrandum).

Reinhard Goebel, duettando con la brillante violinista Margret Baumgarti, si è lanciato in esecuzioni trascinanti senza timore delle più alte velocità. Lo si è visto soprattutto nei brani conclusivi, come negli Allegro della Sinfonia in si bemolle maggiore di Haendel, qui trasformati in Presto, o nelle incalzanti sezioni della “Follia” di Vivaldi.

Non è stato da meno il violoncellista Klaus-Dieter Brandt, impegnato solisticamente nell’interessante e difficile Concerto da camera di Caldara.

Buono e affidabile sostegno, infine, quello del cembalista Leon Berben.

In generale, più che nella composta classicità di Corelli, l’ensemble ha dato il meglio di sé nelle accese (e talora sfrenate) fantasie dei successori.

Alla fine il pubblico ha applaudito i quattro musicisti con calore, ottenendo come bis una pensosa “Sonata in trio” del francese Leclair.

1 novembre 2005 | Bresciaoggi
di Nadia Spagna

Straordinario concerto domenica al Centro Paolo VI in occasione delle Settimane Musicali Barocche. Il quartetto diretto da Reinhard Goebel ha unito classe e bravura.

Una serata filologica quella proposta domenica sera dalle Settimane Musicali Barocche. La Sala Morstabilini del Centro Paolo VI è stata infatti la sede del formidabile concerto del celebre ensemble Musica Antiqua Köln, diretto da Reinhard Goebel.

La formazione – composta da due violini (Reinhard Goebel e Margret Baumgartl), un violoncello (Klaus-Dieter Brandt) e un clavicembalo (Léon Berben) – è entrata in scena con una serietà e naturalezza tali da far quasi scordare che ci si trovava di fronte ad uno dei gruppi esecutori di musica barocca più importanti al mondo. La perfetta intesa fra i quattro musicisti, unita alla classe superiore dei loro strumenti ha permesso di godere dell’ascolto di un suono dalle qualità timbriche estremamente ricche e calde, che ha contribuito notevolmente a trasmettere una musicalità già di per se eccezionale.

In particolare il concerto è stato dedicato alla “Sonata a tre” – ossia a tre parti – iniziando con le morbide sonorità della “Ciaccona in sol maggiore op. 2 n. 12” di Arcangelo Corelli, seguito da due opere di Antonio Caldara, “Ciaccona “Largo” in si bemolle maggiore op. 2 n. 12″ e il “Concerto da camera in la minore”. Il primo tempo si è concluso con due opere di Georg Friedrich Händel, rispettivamente composte prima e dopo il suo soggiorno romano: la “Sonata in sol minore HWV 387” seguita dalla “Sinfonia in si maggiore HWV 339”.

Nella seconda parte si è potuta ascoltare la “Sonata in la maggiore “Pastorale” op. 5 n. 12″ e la “Fantasia in re maggiore “La Zampogna” op. 3 n. 12″ di Giuseppe Valentini. Il concerto si è poi concluso con la bellissima “Sonata in re minore La Folia” di Antonio Vivaldi.