Giornale di Brescia, 24 ottobre 2011

La musica delle popolazioni ugro-finniche al cospetto dell’immenso repertorio gregoriano. Il concerto dell’altra sera nella Basilica delle Grazie, per le Settimane Barocche, presentava più motivi d’interesse. Per la presenza dell’ensemble vocale estone Heinavanker, per il raro repertorio, per il delicato rapporto fra tradizioni orali e scritte.
Abbiamo assistito ai soliti prodigi medievali: sculture di note, pietre che cantano, la libertà ritmica di un tappo di sughero galleggiante nel mare. L’antica roccia runica si trasformava in colonna romanica, temi bellissimi come cristalli di ghiaccio si scioglievano odoranti d’incenso.

Abiti tradizionali, tra il monaco e il cavaliere, intonazione sovraumana, voci dure nei brani folk; sovrana fluidità, spettacolare rotondità, tepore di carni, nell’antico canto piano. Movimenti processionali lungo le navate, ondeggiamenti, inchini, gestualità rituali, giochi antifonali; pedali corali, falsi bordoni; parco uso di percussioni, minimi sottofondi registrati, spartiti letti sull’iPad. Lingua estone piena di consonanti e dal ritmo flessibile; il latino come volto più autentico della civiltà europea. Invitante dolcezza, nella materia musicale di Ildegarda, visioni abbaglianti e magnanime come un abbraccio.

Di fronte a tanta splendente purezza, l’applauso faticava a scattare, per non violare quell’attonita contemplazione. Se intorno all’anno Mille centinaia di abbazie conversavano con cosmiche oranti ondate sonore, alle stesse ore, a migliaia di chilometri di distanza, inondando il Vecchio Continente d’un arcobaleno di neumi e preghiere, l’altra sera, otto secoli più tardi, quel medesimo dialogo proseguiva, mai interrotto.
Grande successo, bis, stupore.

Enrico Raggi