Giornale di Brescia, 1 novembre 2011

Un raffinatissimo dialogo fra maestri della polifonia classica, che si sfidano sullo stesso terreno, armati come Cupido di frecce d’amore, in un giocoso corteggiamento metaforicamente trasformato in caccia. È il tema svolto l’altra sera dal gruppo vocale Arsi &; Tesi, in concerto per le Settimane Barocche.

Salendo la scalinata del complesso architettonico di San Cristo ci si sentiva simili ai giovani protagonisti del Decamerone: allontanarsi dalle barbarie, alla ricerca dell’uomo. Ogni madrigale terminava con la formula d’omaggio «Viva la bella Dori»; tra l’Italia di Palestrina e Marenzio e l’Inghilterra di Weelkes risuonavano gli ardenti richiami di pastori, fauni e ninfe: cantiamo, brindiamo ad Amore e ai suoi soavi accenti.

Acustica ideale per un concerto corale: il suono viaggia, rimbalza, sosta, circola. Programma eseguito a parti reali: dai cinque ai sette esecutori, disposti a semicerchio, con i due soprani agli estremi, i due tenori opposti, il basso al centro, il contralto, asimmetrico, che amalgama. Meravigliosa eufonia, contrasti dinamici vividi, calore, bella densità, fusione, un espressivo vibrato stretto, quel suono internamente mosso che ci ostiniamo a definire «italiano»; buona intonazione (qualche leggera sbavatura), inappuntabile pronuncia, eleganza sbarazzina. Immacolate catene di terze e seste parallele in Ippolito Baccusi, Orazio Vecchi spiritoso e snello; per dirla con Roberto Longhi «un generale chiaroscuro morbido aleggiante soffuso, una linea meravigliosamente duttile molle insinuata».

Come da consuetudine, l’applauso scatta solo alla fine. Si può ridiscendere dal Parnaso, abbandonare l’hortus conclusus, salutare il giardino segreto: l’implacabile «tum-tum cià» ci attende.

Enrico Raggi